22.4.10

Era una giornata calda, particolarmente afosa.Le persone per strada si inumidivano continuamente il collo e la fronte con dei piccoli fazzoletti bagnati, le signore si riparavano dal sole con ombrellini graziosi sempre intonati ai loro vestiti. Jerome stava seduto fuori dal saloon.Guardava la gente camminare, senza grande interesse in realtà.Si dondolava su una sediolina verde troppo piccola per lui.Ormai la vernice, dopo anni, si stava rovinando e si distinguevano macchie di legno sulle gambe e sullo schienale grandi come una di quelle zolle di terra nella prateria da dove l'erba sparisce e sembra solo che le sia stato tolto il colore.Jerome aveva sempre considerato quelle sediolina come la sua.Si ricordava ancora di quando gli era stato permesso di verniciarla del suo colore preferito. Si ricordava di come stare seduto lì da bambino, lo facesse sentire stranamente protagonista, al centro dell'attenzione di tutti. Ogni passante, ogni cliente del saloon prima di entrare, aveva una parola per quel bambino e per la sua sediolina verde. Stava seduto sempre lì, all'ingresso, e si continuava a dondolare come se quel movimento lo avesse ipnotizzato.Ora Jerome era cresciuto e non riusciva più a dondolarsi come una volta.La vernice stava sparendo e con questa i ricordi del bambino.Non sapeva più passare le giornate accontentandosi di un movimento costante e ripetitivo.Ora passava le giornate fermo su quella stessa sediolina, costantemente scomodo e infastidito dell'evoluzione. Avrebbe preferito che il suo corpo fosse rimasto minuto, che i suoi piedi continuassero a sfiorare il pavimento senza raggiungerlo mai, avrebbe preferito poter continuare a guardare le persone senza chiedersi se erano felici.Ora Jerome non sapeva far altro che restare immobile, senza pensare, senza cercare di capire. Non aveva più voglia di domandare, di insistere. Non ne vedeva il bisogno.Preferiva rimanere fermo con la testa vuota. Aveva passato tutta la vita a osservare le persone, come camminavano, come gesticolavano, come si muovevano..sapeva con certezza che il Sig. Kevlar usava asciugarsi il sudore dal collo dandosi dei piccoli colpetti insistenti e decisi con il suo fazzoletto bluastro; era sicuro che la vecchia Sig.ra Elfest usava iniziare a frugare dentro la sua borsetta senza cercare niente ogni volta che il nipotino Walt la faceva arrabbiare con le sue piccole ma sicuramente straordinarie invenzioni, fonte però delle macchie sul suo vestito; e avrebbe potuto scommettere che la bellissima Lea avrebbe sfoggiato anche oggi un nuovo nastrino con cui reggersi i capelli e anche oggi avrebbe provato a concquistare quell'idiota di Dylan Parton che era considerato da tutti uno dei ragazzi più brutti e scontrosi della città, e infatti nessuno si spiegava come quello splendore avesse potuto perdere la testa per un tipo come quello, ma soprattutto tutti erano allibiti dal fatto che quel tipo continuasse con una fermezza inaspettata e sicuramente sconsiderata a rifiutarla.Jerome continuava a stare fermo sulla sua sediolina e guardava e guardava e guardava senza sapere più dove direzionare lo sguardo.Vedeva una folla davanti a sè, mille persone camminare muoversi parlare e nessuna di queste lo incuriosiva.Vedeva le persone pensare a sè stesse, sbattersi con le spalle con qualcun altro e non accorgersene.Vedeva le persone che man a mano si disinteressavano dell'altro.Mano a mano la voglia,la convinzione,la curiosità morivano.Jerome si ricordava di quel bambino per cui tutti si fermavano un istante, per cui tutti avevano una parola dolce,un sorriso.Ora nessuno salutava Jerome. Non si sentiva solo, anzi non voleva la compagnia di nessuno.Tutti quegli anni passati a osservarli, a imparare a far sua ogni loro intimità, a impadronirsi di ogni loro segreto, gli erano serviti a capire le profonde diversità che c'erano fra lui e tutti quegli altri corpi ciondolanti.Profondità insanabili, che nessuno aveva desiderio di colmare.Jerome sapeva bene che non sarebbe cambiato mai nulla.L'unica cosa che sarebbe successa è che il suo corpo sarebbe continuato a crescere e allora non ci sarebbe entrato più veramente su quelle sediolina.Aveva già deciso cosa fare, come muoversi.Conosceva i movimenti di ognuno di loro, la velocità dei loro passi, la scaltrezza dei loro occhi.Non c'era niente che lo avrebbe ostacolato.Finalmente la bellissima Lea stava svoltando l'angolo.Finalmente stava arrivando al saloon come ogni venerdì, per pagare le commisioni della settimana.Come ogni venerdì lei gli avrebbe rivolto solo un gesto della testa, senza un sorriso, senza una parola, senza un impercettibile movimento della mano; ma questa volta la situazione che la bella Lea conosceva tanto bene era diversa; questo venerdì i proprietari del saloon, quelli che tanti anni prima avevano adottato il piccolo Jerome,erano fuori città ed era il non più piccolo a doversi occupare di tutto.Lea lo superò come al solito ed entrà nel locale e già dal suo primo passo si colse lo stupore; Jerome si alzò e la seguì senza dire niente, senza darle il tempo.Lea non fece in tempo neanche a girarsi che si sentì prendere da dietro, dalla nuca, e venir spinta dentro con forza; Jerome la buttò per terra e le diede un calcio in bocca per farla strillare di più, per fare accorrere qualche salvatore.Lea piangeva e urlava , impaurita dal fucile che le era puntato contro, che le accarezzava le guance; Jerome attese che il pubblico fosse folto e impaziente, poi caricò il fucile e sparò in testa a quello splendore. I volti degli uomini che stavano accorrendo si contrassero; qualcuno urlò dalla disperazione, qualcun'altro scoppiò a piangere.Tutti un secondo dopo si stavano gettando all'impazzata dentro il saloon pronti per linciare l'assassino.Jerome si voltò entusiasta della riuscita del suo piano, fiero di conoscere così bene le abitudini dei suoi vicini.Sparò qualche altro colpo,uccidendo a caso, tanto per far confluire veramente il maggior numero di persone e per dare veramente inizio allo spettacolo.Finalmente lo accerchiarono ma ancora terrorizzati non riuscirono ad aver la meglio.Jerome non fece alto che togliersi la maglietta e mostrare quello che aveva in serbo per loro.Le urla questa volta furono più lancinati delle prime perchè ora tutti avevano paura di morire.I più svelti inziarono a scappare,e forse qualcuno si salvò, ma la maggior parte non fece in tempo.Jerome non fece altro che accendere le micce dei candelotti legati al suo petto e attendere un istante.Era abituato ad aspettare ,lo aveva fatto per tutta la vita, e un istante in più non faceva molta differenza ormai.Ma riuscì comunque a trovare il tempo per farsi un'ultima risata.

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